Il culto dell’Occhio Divino

by ArcheoWorld
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Fra i molti misteri che risalgono ai tempi antichi, ve ne sono alcuni universalmente conosciuti ed altri, minori, ma non meno intriganti, la cui conoscenza è riservata a pochi appassionati o addetti ai lavori. Uno di questi riguarda gli “idoli oculari” di Tell Brak, delle figure antropomorfiche dal corpo trapezoidale e grandi occhi che, nonostante abbiano più di 5000 anni, presentano un aspetto moderno. Tell Brak è un grande sito archeologico a 4 km dalla riva destra del Giaghgiagha, affluente del Khābūr, sulla carovaniera che congiungeva la Siria con l’Anatolia e la Mesopotamia.

La regione, centro importante di commercio, alla fine del III millennio era dominata dalla dinastia di Akkad a cui successero la III dinastia di Ur ed in seguito quelle assire. Il periodo più antico è quello preistorico, rappresentato da un piccolo insediamento risalente al 6000 a.C., dove sono stati trovati materiali della tarda cultura neolitica denominata Halaf. L’occupazione del sito è durata fino al IV millennio a.C., epoca considerata proto-storica dagli studiosi e al quale si fa risalire uno dei ritrovamenti più importanti del sito: un tempio dedicato ad una divinità sconosciuta. Il tempio, costruito tra il 3200 e il 3500 a.C., risultava privo di fondamenta, poggiando direttamente su una piattaforma che incorporava tre precedenti edifici spianati e riempiti di mattoni. L’accesso al tempio avveniva per mezzo di una scalinata che, forse, circondava il lato orientale della piattaforma. La distruzione del complesso avvenne all’inizio dell’epoca sumerica, a causa di qualche scorreria. Nel periodo 1937-38 vennero effettuati scavi sotto la supervisione dell’archeologo britannico Sir Max Mallowan, nel corso dei quali vennero rinvenuti centinaia di piccoli idoli caratterizzati da uno o più paia di occhi intagliati, a causa dei quali il tempio venne denominato “Tempio dell’occhio”.

Sir Max Mallowan (Londra, 6 maggio 1904 – Wallingford, 19 agosto 1978)
Planimetria degli scavi effettuati da Mallowan

Gli idoli, realizzati in alabastro bianco o nero, hanno dimensioni variabili, dai 3 ai 6 cm. di altezza e rappresentano un unicum, infatti non sono note raffigurazioni parallele, sia in Siria che in Mesopotamia.

Le dimensioni e il gran numero di idoli oculari ritrovato suggeriscono che siano stati lasciati nel tempio come ex voto per ringraziare gli dei di qualche favore ricevuto. Le figurine, infatti, potrebbero rappresentare le persone beneficiate dalla grazia. La loro decorazione, infatti, varia e i ricercatori pensano si tratti di personalizzazioni. Gli idoli sono stati raggruppati in cinque tipologie: alcuni hanno un solo paio di occhi, con o senza decorazione; alcuni hanno tre, quattro o sei occhi; altri hanno piccole figure di bambino scolpite sulla fronte e in altri ancora gli occhi sono stati forati di traverso. Inoltre, nei pochi frammenti rimasti della decorazione interna del tempio, è frequente la figura dell’occhio, suggerendo che veniva considerato come un potente simbolo magico e religioso.

I numerosi idoli venuti alla luce durante gli scavi

Al momento, comunque, la simbologia e il motivo per cui venivano scolpite le statue sono ancora argomenti di dibattito. Secondo i ricercatori, scoprire l’origine e il significato degli idoli potrebbe aiutare a rispondere a importanti domande sulla storia della regione.

Il Nazar Bonjuk, l'”occhio di Allah”

Si ritiene, senza però disporre di alcuna certezza, che il culto dell’occhio praticato anticamente a Tell Brak, sia all’origine della diffusione del Nazar, un portafortuna, diffuso in Grecia e Turchia, formato da cerchi di diverse sfumature di blu e azzurro, che difende dal cosiddetto malocchio, un’energia negativa, che si trasmette con la forza dello sguardo. Conosciuto anche come “occhio di Allah”, non è legato a nessun significato religioso, ma ad una leggenda che narra di un gruppo di cento uomini, i quali non riuscivano a spostare una roccia, che si trovava in riva al mare. Chiamarono un uomo, famoso per avere la capacità di lanciare il malocchio, il quale la fece esplodere semplicemente esclamando ad alta voce: “che roccia grande“. Probabilmente l’amuleto, prende la sua forma di occhio, proprio in contrasto col malocchio, letteralmente “occhio malevolo“. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, ma secondo alcune culture, possono rappresentare anche la porta di uscita dei pensieri positivi e dei pensieri negativi delle persone. Quindi ci sarebbe un duplice aspetto: un occhio positivo, cioè l’amuleto, che contrasta un occhio negativo, ovvero quello dell’uomo.

L’immagine dell’occhio, in virtù della sua importanza quale organo di senso, simboleggia presso quasi tutti i popoli l’occhio divino che vede tutto. Nell’antichità l’occhio compariva abitualmente come raffigurazione del dio Sole. Nella religione egizia abbiamo “l’occhio di Horus”, così come nel Buddismo, dove Buddha viene chiamato “l’occhio del mondo”. Nell’iconografia medievale e rinascimentale l’occhio, spesso iscritto in un triangolo, era un’esplicita immagine della Trinità cristiana. Il triangolo equilatero è il corrispondente geometrico del numero 3, che universalmente rappresenta la perfezione. Nel triangolo compariva di frequente anche il nome ebraico di Dio: Jahvè o JHWH. L’occhio racchiuso nel triangolo è poi entrato nell’iconografia massonica nel 1797, con la pubblicazione del Freemasons Monitor di Thomas Smith Webb. I massoni attribuiscono all’occhio una duplice simbologia: sul piano fisico il Sole, sul piano spirituale il Grande Architetto dell’Universo, un modo di indicare Dio. Il triangolo rappresenta alla base la Durata e ai lati Tenebre e Luce.

Curiosità

Sir Max Edgar Lucien Mallowan (Londra, 6 maggio 1904 – Wallingford, 19 agosto 1978) è stato un archeologo e accademico britannico. Studiò alla Rokeby Preparatory School in Kingston upon Thames, al Lancing College e approfondì gli studi classici al New College dell’Università di Oxford. Inizialmente, dal 1925 al 1931, lavorò come apprendista insieme a Leonard Woolley nel sito archeologico di Ur che si riteneva essere la capitale della civiltà della Mesopotamia. Nel 1930, presso il sito di Ur, incontrò Agatha Christie, già celebre autrice di romanzi e racconti gialli, che sposò nello stesso anno. Nel 1932, dopo un breve periodo di lavoro a Ninive con Reginald Campbell Thompson, divenne direttore di una serie di spedizioni gestite congiuntamente dal British Museum e dalla British School of Archaeology in Iraq. I suoi scavi includono il villaggio preistorico di Arpachiya e i siti a Chagar Bazar e Tell Brak nella zona superiore del fiume Khabur, in Siria. Fu anche il primo a scavare i siti archeologici della valle di Balikh, ad ovest del bacino del Khabur. Dopo la guerra, nel 1947, venne nominato professore di Archeologia dell’Asia occidentale presso l’Università di Londra, posizione che mantenne fino all’elezione a socio dell’All Souls College di Oxford nel 1962. Dal 1947 al 1961, fu direttore della British School of Archaeology in Iraq. Diresse anche la pubblicazione dei suoi lavori a Nimrud (e in precedenza scavati anche da Austen Henry Layard), che furono pubblicati in due volumi nel 1966 con il titolo Nimrud and its Remains. Mallowan aveva già pubblicato un resoconto del suo lavoro di venticinque anni in Twenty-five Years of Mesopotamian Discovery (1956). Anche sua moglie descrisse il suo lavoro in Siria in Come, Tell Me How You Live (1946). Agatha Christie morì nel 1976.

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