Reperti egizi nel Gran Canyon

by ArcheoWorld
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Nel mese di marzo 1909 il quotidiano Arizona Gazette pubblica un articolo in cui si parla dell’impresa di G. E. Kincaid, un esploratore, che raggiunse Yuma dopo aver navigato lungo il fiume Colorado, un’impresa degna di rilievo per quell’epoca. Un mese dopo, l’Arizona Gazette pubblica un nuovo articolo molto più esplicativo descrivente l’avventura di Kincaid nei minimi particolari. L’articolo si intitolava così: “Esplorazioni nel Grand Canyon: i misteri di un’immensa caverna riportati alla luce”. Il redattore chiarisce nell’articolo che quanto è stato scoperto dall’esploratore ha caratteristiche di eccezionalità, al punto che si dice che i ritrovamenti effettuati non sono importanti solo per gli Stati Uniti, ma per tutto il mondo. Si precisa che la spedizione di Kincaid è stata organizzata, seppure in modo indiretto, dallo Smithsonian Institute sotto la supervisione del professor S.A. Jordan che aveva incaricato Kincaid di percorrere in barca il Green River dal Wyoming al Colorado. Nel corso del suo viaggio, Kincaid aveva notato l’ingresso ad una caverna che, una volta esplorata, rivelava reperti riconducibili, per stile e foggia, all’Antico Egitto. Ma i particolari raccontati da Kincaid sono assai più sbalorditivi. La caverna iniziava con un passaggio, a circa 500 metri dalla superficie del canyon, per poi arrivare ad un’enorme stanza, da cui si dipartivano altri passaggi a raggiera. Alla fine di quei tunnel c’erano altre stanze, alcune che si addentravano ancora più in profondità. Kincaid descrive il passaggio principale largo circa 3 metri, e le aperture per gli altri passaggi come di forma ovale e tutto aveva un aspetto geometrico, come costruito da mano umana. Gli angoli erano ben definiti, così come i soffitti e i pavimenti. Nella stanza principale da lui raggiunta si trovava un idolo con sembianze orientali: specificatamente simile a Buddha con un fiore di loto in ogni mano. Kincaid definisce questa stanza “il santuario”, per la presenza di altre statue, e oggetti in bronzo, oro e platino. Successivamente Kincaid descrive delle mummie maschili disposte ordinatamente e ricoperte con argilla.

Su molti reperti, urne e vasi, qui custoditi, erano presenti incisioni che gli ricordavano molto i geroglifici egizi. Per concludere con un’ulteriore nota di mistero il suo resoconto, Kincaid afferma che alla fine c’era un tunnel buio che trasmetteva una sensazione ansiogena, tanto che non si era sentito di esplorarlo. Tra i molti dettagli descritti nell’articolo, Kincaid, asserisce che tra i vari simboli incisi sulle pareti ce ne fosse uno raffigurante un cuore. Un dettaglio curioso che riporta ad un’antica leggenda dei nativi locali che narra:

Un tempo esistevano due popoli, uno con un cuore e uno con due. Vivevano entrambi sotto la superficie del Grand Canyon. Un giorno sorse inimicizia tra di loro, così che uno dei due decise di emergere in superficie. Ma non esisteva una strada per uscire. Allora, il capo della tribù fece crescere un albero che affondava le sue radici nella terra, ma che condusse il popolo con un cuore solo fino alla luce del sole. Qui questo popolo si stabilì, lungo le rive del fiume, coltivando e prosperando. Come ringraziamento mandarono un messaggero al tempio del sole, chiedendo benedizioni e ringraziando gli Spiriti. Ancora oggi, gli anziani della tribù attendono il suo ritorno. Quando il messaggero tornerà, agli uomini sarà restituita la loro antica dimora.

Molte fonti sostengono che si tratti di una bufala, un elaborato scherzo “come andava molto di moda in quegli anni”, non esistendo elementi certi a conferma, ma nemmeno a smentita, di quanto oggettivamente riportato nell’articolo di giornale del 1909. Si avanza anche l’idea che neppure Kincaid sia mai esistito. La Smithsonian Institution ha sempre categoricamente negato tutto fin dall’inizio asserendo che né un Jordan, né un Kincaid hanno mai lavorato per loro. L’articolo pubblicato dall’Arizona Gazette, di fatto, non ha alcun riscontro concreto. L’unica lancia che si può spezzare a favore della sua veridicità è che non si trattava di un giornale solito ai sensazionalismi.
Quindi, in fondo al Grand Canyon non c’è un bel niente. Oppure sì?

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