Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. (Gen. 11, 1-9)

La Torre di Babele (in ebraico: מגדל בבל, migdàl Bavèl) è la leggendaria costruzione di cui narra la Bibbia nel Libro della Genesi che presenta un parallelo in un poema sumerico, Enmerkar e il signore di Aratta, e nel Libro dei Giubilei (10, 18-27). Riferimenti più o meno ampi ad essa si trovano anche nelle opere di scrittori d’età ellenistica e romana: nei frammenti di Alessandro Polistore e di Eupolemo (Eus., Præp. Ev., IX), negli Oracoli sibillini (III. 117-129), in Flavio Giuseppe (Ant. Jud., I.4.3). La torre, in mattoni, fu costruita sul fiume Eufrate nel Sennaar (in Mesopotamia) con l’intenzione di arrivare al cielo e dunque a Dio. Secondo il racconto biblico, all’epoca gli uomini parlavano tutti la medesima lingua. Gli uomini volevano arrivare al cielo per farsi un gran nome e non essere dispersi su tutta la terra come Dio gli aveva comandato (Genesi 1:28). Ma Dio creò scompiglio nelle genti e, facendo in modo che le persone parlassero lingue diverse e non si capissero più, impedì che la costruzione della torre venisse portata a termine. Il nome di “Babele”, attribuito alla torre, è riconducibile all’ebraico bālal, che significa “confondere”, in quanto l’episodio della Genesi parla di “confondere le lingue“.


Nell’ambito dello Gnosticismo questa torre è il simbolo della conoscenza umana ed il Cielo è il simbolo di quella realtà spirituale meravigliosa e splendente ben al di sopra delle potenze malefiche creatrici e reggitrici di questo mondo, Regno del Male, nel quale vige la loro legge spietata. Il racconto ci dice che, a quel tempo, gli uomini parlavano una sola lingua e ci mostra tutta la preoccupazione di queste potenze malvagie per l’impresa che gli uomini stavano tentando, soprattutto perché avrebbero conosciuto che, al di sopra dei loro creatori e del loro principe (il Dio del Vecchio Testamento), esisteva una realtà ben superiore. E, in aggiunta, l’uomo avrebbe conosciuto di essere superiore ai creatori del suo corpo materiale in quanto possedeva in se la scintilla del mondo divino superiore. Ecco perchè il testo ci dice esplicitamente “toccare” il Cielo e non guardare il Cielo. Leggiamo: “Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. (Genesi 11,6-7) Secondo l’interpretazione gnostica, in questo passo il “Signore”, il Dio malvagio della Bibbia, invita le Potenze che collaborano con Lui, gli Elohim, ad interrompere questa impresa: “Scendiamo”, dice il testo, “e confondiamo la loro lingua”, due verbi inequivocabilmente al plurale. La confusione delle lingue, poi, simboleggia chiaramente una completa trasformazione negativa della mente umana che, da quel momento, non sarà più capace di “pensare” per simboli, ma sarà prigioniera del “linguaggio”, cioè sarà capace di pensare solo con parole e immagini. Solo chi saprà distruggere questa prigione nella quale il linguaggio costringe la mente, potrà un giorno ritentare l’impresa di costruire la Torre. La simbologia descritta finora è dunque analoga a quella che si evince nell’episodio nel quale Eva, e poi Adamo, dietro i saggi consigli del serpente, mangiano il frutto proibito ed assumono la consapevolezza di essere superiori ai loro creatori. Infatti anche in questo caso la reazione degli Elohim fu terribile, con la riduzione di Adamo ed Eva alla condizione umana, caratterizzata da un corpo materiale soggetto alla morte. Nonostante ciò, anche in questo caso gli Elohim continuarono ad essere molto “preoccupati”: “Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!”. (Genesi 3,22)

La storia biblica della Torre di Babele deriva probabilmente dalla reale e principale ziqqurat di Babilonia (“Babele” è considerato sinonimo di Babilonia), conosciuta come Etemenanki, centro religioso principale della città e di tutta l’area circostante. Dal punto di vista archeologico, si fa corrispondere la biblica Torre di Babele alla grandissima ziqqurat Etemenanki, costruita nel II millennio a.C. e riparata e rifatta molte volte fino all’epoca di Alessandro Magno.




La sua base, nel momento di massimo splendore, era un quadrato di 91 mt. di lato (verificata archeologicamente) e anche la sua altezza pare abbia raggiunto i 91 mt. Non c’è, però, accordo sul periodo in cui tali dimensioni furono raggiunte.

Quando gli ebrei furono deportati a Babilonia trovarono incompiuto il rifacimento del re caldeo Nabopolassar e di suo figlio Nabucodonosor II (VII secolo a.C.). La ziqqurat Etemenanki, dedicata al dio Marduk, nel periodo di Nabopolassar era alta 30 cubiti (circa 15,30 o 22,90 mt.), come si deduce dalle descrizioni del figlio Nabucodonosor II. Ne parla con ammirazione anche Erodoto, che la dichiara ancora esistente ai suoi tempi, anche se egli non la visitò, come spesso si afferma erroneamente. Proprio per questa sua mole straordinaria, essa fu considerata dagli Ebrei simbolo dell’arroganza umana. Alcuni ricercatori moderni però ipotizzato che Eridu e non Babilonia fosse Babele e dunque il luogo originale della Torre di Babele. Questo in base a svariate ragioni:
Le rovine della ziggurat di Eridu sono ben più grandi e più antiche di tutte le altre e sembrano coincidere bene con la descrizione biblica dell’incompleta torre di Babele.
Un nome di Eridu nei logogrammi cuneiformi viene pronunciato “Nun.Ki” (il luogo potente) in sumerico, ma molto più tardi lo stesso “Nun.Ki” venne inteso ad indicare la città di Babilonia.
La più recente versione greca della Lista dei re di Berosso (ca. 200 a.C.) indica, nelle prime versioni, Babilonia, al posto di Eridu, come la più antica città in cui “la regalità calò dal cielo”.

Altri ricercatori, inoltre, identificano il re biblico Nimrod, costruttore di Erech (Uruk) e Babele, con il nome del leggendario Enmerkar (Kar significa “cacciatore”) della Lista dei Re. Lista ripresa da quel Beroso contemporaneo di Alessandro Magno che sosteneva di poter consultare tavolette che riportavano osservazioni astronomiche di cinquecentomila anni addietro.
Conclusioni
La Torre di Babele, qualunque sia l’origine del suo mito, rappresenta la prepotente volontà del genere umano di appropriarsi della natura di Dio, Una natura fatta di forza, conoscenza, spiritualità. Una conoscenza che non può essere permessa al “popolo” che quindi deve essere confuso e disperso nel caos totale in modo da impedirgli qualunque possibilità di formare un pensiero alternativo al “potere di Dio”.

Di certo vi è un fatto, ci sono oggi alcuni organismi che nella loro simbologia si rifanno all’epopea di Nimrod e al mito della Torre di Babele.
