Piramidi: similitudini fra Tenerife e Mauritius

by ArcheoWorld
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Chi per studio, o per passione, si interessa delle tematiche relative alle antiche strutture piramidali sparse un po in ogni angolo del globo si scontra, inevitabilmente, con gli innumerevoli misteri generati dalle incongruenze cronologiche, architettoniche, funzionali e logistiche di queste opere ingegneristiche. Indubbiamente i monumenti più studiati e controversi sono le grandi piramidi in Egitto, da secoli al centro di approfonditi studi. Ma, globalmente, altri siti pongono altrettanti dubbi circa la loro origine e costruzione: le grandi piramidi messicane, quelle bosniache, le piramidi nell’America centrale, in Cina, in remote isole in mezzo agli oceani, apparentemente isolate dalle più importanti e conosciute civiltà. E proprio su due isole lontanissime fra loro si prospetta uno dei misteri più affascinanti relativi alle piramidi: sull’isola di Tenerife e sull’isola di Mauritius sono state scoperte strutture piramidali identiche per concezione e realizzazione. Strutture che non impressionano per l’imponenza delle misure o per le difficoltà tecniche di realizzazione ma per la loro impressionante similitudine che fa intravedere una matrice comune che unisce, misteriosamente, l’oceano Atlantico all’oceano Indiano.

Sull’isola di Tenerife, nell’arcipelago della Canarie, si trova un complesso di piramidi conosciute come “Piramidi di Güímar“, che si estende su un’area di 65.000 metri quadrati all’interno della cittadina di Güímar, sulla costa orientale della stessa isola.

Le piramidi sono di forma rettangolare e hanno una struttura a gradoni che ricorda le piramidi azteche, in Messico, e alcune dell’Antico Egitto. Il complesso delle piramidi di Güímar è realizzato interamente con pietre a secco abilmente e saldamente incastonate tra di loro. Per questa caratteristica, agli inizi dello scorso secolo, si riteneva che le piramidi non fossero altro che mucchi di pietre accatastate dagli antichi contadini dell’isola che le toglievano dai campi da coltivare.

Ma nel 1991 il ricercatore norvegese Thor Heyerdahl riabilitò l’identità storica delle piramidi. Dopo averle studiate stabilì, per primo, che non potevano trattarsi di ammassi casuali di pietre. I suoi studi misero in evidenza che erano visibili i segni di lavorazione sulle pietre delle costruzioni e che il terreno era stato livellato prima della costruzione delle piramidi stesse. Osservò anche che le pietre non erano di tipo comune come quelle che si potevano trovare nella zona, ma erano tutte di origine vulcanica. Heyerdahl dimostrò inoltre che le piramidi non avevano un orientamento casuale ma mostravano un preciso puntamento astronomico che indicava l’avvento del Solstizio d’Estate.

Thor Heyerdah e la moglie a Güímar

Secondo Heyerdahl piramidi, recinzioni e terrazzamenti avrebbero un orientamento astronomico al sorgere del sole.

In questa chiave interpretativa constatò come tutte le piramidi avessero una precisa e identica struttura che comprendeva una scalinata sul loro lato occidentale che portava a vedere sulla sommità il sorgere del sole. Ad oggi non si conosce ancora l’età attribuibile al complesso megalitico delle piramidi di Güímar né l’identità dei suoi costruttori e vengono fatte varie ipotesi per spiegare la loro presenza sull’isola. Nel cercare di spiegare la presenza delle piramidi di Güímar, Heyerdahl avanzò l’ipotesi che le Canarie avessero potuto servire come base di riferimento per antichi commerci tra il continente Americano e l’Europa, da cui si evinceva la similitudine con le piramidi del centroamerica.

Un’altra ipotesi fa risalire l’origine delle strutture piramidali ai Guanci, gli antichi abitanti delle Canarie dalla pelle bianca, di cui non si conoscono le esatte origini ma si ritiene che appartenessero alla cultura berbera dell’Africa occidentale. Le cronache degli esploratori spagnoli del medioevo riportano che queste popolazioni sembravano essere ancora all’età della pietra. La loro cultura è scomparsa, ma ha lasciato non poche vestigia come tombe, graffiti e monumenti rituali in pietra. Vestigia che tuttavia non sembrano avere legami con i costruttori delle piramidi anche se probabilmente i Guanci ne erano stati i successivi eredi e custodi.

Spedizione portoghese capitanata dal genovese Nicoloso da Recco incontra i Guanci nel 1341

Plinio il Vecchio testimonia che le Canarie, nel 600 a.C, all’epoca dei viaggi del navigatore Annone che ebbe occasione di visitarle, erano disabitate. Il navigatore non citò mai i Guanci, ma relazionò solamente che sull’isola si potevano vedere le rovine di grandi edifici. Ciò porta a ritenere che i Guanci, anche se forse depositari dell’antica civiltà scomparsa, non siano stati i primi abitanti dell’isola né tantomeno i costruttori delle piramidi poichè queste sembrano avere un’età anteriore, risalente al 3000 a.C. Il termine Guanci era specifico degli aborigeni dell’isola di Tenerife, ma in seguito è stato esteso a tutte le popolazioni indigene delle Canarie. La conquista spagnola dell’Arcipelago delle Canarie, iniziata nel 1402, portò poi a un generale genocidio dei Guanci provocando la loro scomparsa e con loro probabilmente anche le conoscenze dell’antica tradizione e della civiltà che aveva edificato le piramidi.

L’isola di Mauritius fa parte dell’arcipelago delle Mascarene nell’Oceano Indiano, circa 900 km a est del Madagascar è di origine vulcanica, e si trova poco a nord del Tropico del Capricorno. L’isola era ben nota agli Arabi, che la chiamavano Diva Harab, e ai Malesi sin dal X secolo. Si suppone tuttavia che altri popoli navigatori, nell’antichità, abbiano fatto scalo nell’isola Mauritius o l’abbiano abitata. La prima carta europea che raffiguri correttamente l’isola è del 1502, fatta dall’italiano Alberto Cantino. I Portoghesi la “scoprirono” nel 1505 e la battezzarono Ilha do Cerne (“isola del cigno”), ma l’isola rimase disabitata sino al primo insediamento olandese, nel 1598. Furono gli Olandesi a darle il nome di Mauritius, in onore del principe Maurizio di Nassau. Sull’isola sono state individuate 7 piramidi sul lato sud dell’isola, in una pianura conosciuta come Whillem, tra l’Oceano Indiano, la montagna Creola e Lion Mountain.

La loro base è di forma rettangolare e l’altezza non supera 12 mt, con un numero tra 6 e 11 terrazzi. In apparenza, sono del tutto simili alle piramidi trovate su Tenerife dove le piramidi non superano ugualmente 12 mt. di altezza, tanto che dalle fotografie dei terrazzamenti non si può distinguere se si sta osservando una piramide di Tenerife o di Mauritius.

Nella prima piramide di Mauritius, l’accesso alla piattaforma superiore avviene attraverso una scala centrale. Questa è stata restaurata in pietra bianca, ed è quindi più visibile. Non tutte le piramidi hanno un tale accesso, come avviene anche a Tenerife.  Alcune delle piramidi di Mauritius, con le loro piattaforme, avrebbero potuto essere utilizzate per osservazioni astronomiche. Anche in questo caso si riscontrano similitudini con Tenerife. Se questa correlazione si applica alle piramidi di Mauritius, queste piramidi dovrebbero essere allineate a fenomeni solari e, in particolare, le terrazze dovrebbero essere allineate ai due solstizi. I primi calcoli indicano che questo è davvero il caso, ma occorrono ulteriori verifiche.

In particolare la Piramide 2 di Mauritius è probabile che sia allineata con il solstizio d’estate (che nel sud del mondo si verifica il 21 dicembre) e si dovrebbe essere in grado di osservare un doppio tramonto. Il primo tramonto si avrebbe dietro la montagna Creola, il secondo dietro la vicina montagna Lion. Un doppio tramonto dietro un orizzonte di montagna è anche un fenomeno osservato nel complesso di Tenerife rispetto alla cresta della caldera del Teide. Il ricercatore Stéphane Mussard ha rilevato, a livello locale, che le persone ritengono che queste piramidi solo cumuli di pietra ammucchiati per liberare i campi per la coltivazione della canna da zucchero. Se ciò fosse vero, perché alcune delle piramidi su Mauritius erano protette come monumento storico, sino alla prima metà del XX secolo? Sorprendentemente, però, da allora il sito ha perso il suo status protetto, senza dubbio per conseguenza del cambiamento di governo (Mauritius era sotto dominio britannico fino al 1968). È chiaro che quelli che rifiutano queste piramidi come “mucchi di pietre” hanno paura di vedere i loro terreni agricoli recuperati, o di dover rispettare le norme che proteggono i siti archeologici. È comunque chiaro che con il giusto aiuto, il governo dovrebbe essere in grado di evidenziare i benefici economici del turismo per l’economia locale che, si spera nel risultato della ricerca scientifica effettuate sul sito.

Recentemente, attraverso immagini satellitari, sono stati individuati enormi muri di pietre nel sud dell’isola, in particolare a sud di Savannah a pochi metri dal mare. Questi antichi muri la cui larghezza varia da 1,5 a 3 mt. circa sono stati in gran parte riutilizzati dagli allevatori locali per custodire gli animali al pascolo ed oggi sono caratterizzati da strutture aggiuntive come cancelli di ferro e legno, filo spinato ed abbeveratoi di cemento. La tecnica costruttiva di questi chilometrici muri (che purtroppo il satellite non rivela dettagliatamente poiché coperti dalle fronde degli alberi) è la stessa di quella osservata sulle piramidi e sono costituiti delle stesse rocce vulcaniche nere che sono state utilizzate nella costruzione delle suddette piramidi e che si trovano praticamente ovunque sull’isola raccolte in immense cataste. Sempre da satellite, è possibile notare come in alcune zone vi siano delle macchie rettangolari o quadrate sul terreno che farebbero supporre l’esistenza in passato di altre piccole piramidi oggi forse completamente rimosse per agevolare il passaggio dei mezzi agricoli sugli immensi appezzamenti di canna da zucchero.

Con la scoperta di complessi identici di piramidi a Tenerife e a Mauritius, si fa chiara l’esistenza di una civiltà marinara, che ha lasciato tracce sulle isole intorno al continente africano edificando una gran quantità di costruzioni piramidali, muri enormi e strade lastricate. Ed è più che lecito supporre che ulteriori ricerche possano portare alla luce nuove strutture ad oggi sconosciute. Credo che l’archeologia abbia bisogno in egual misura di regole ed intuizioni, di ricerca ed immaginazione, poiché senza la capacità di saper guardare oltre i propri limiti si rischia di non oltrepassarli mai.

PIRAMIDI IN SICILIA

La Sicilia è una meravigliosa terra ricca di natura e storia dove è possibile fare un’escursione in montagna o un tuffo a mare nella stessa giornata. Ma non tutti sanno che tra i sentieri, i campi e le coltivazioni è celato un patrimonio archeologico costituito da oltre quaranta piramidi di origini molto antiche purtroppo non valorizzate né salvaguardate. Alcune di esse sono ancora in buono stato mentre altre sono deteriorate o vandalizzate. Le piramidi sono state costruite tutte intorno all’Etna in pietra lavica e con dei muretti che le recintano. Hanno basi quadrate, e rettangolari, tutte con dei gradoni e scale che raggiungono la sommità. Molte di esse, in cima, hanno anche un altare con dei sedili biposto rivolti verso il vulcano. Attualmente solo pochi esperti hanno studiato queste piramidi. Alcuni le vorrebbero edificate dai Sicani, un popolo che ha occupato la Sicilia intorno al XXX secolo a.C. e di cui abbiamo tracce della loro presenza sull’isola grazie a ritrovamenti di reperti archeologici. Molte di queste piramidi si trovano vicino siti megalitici e pietre erette. Probabilmente i Sicani hanno dedicato la Sicilia al culto del sole o dei gemelli Palici. Questo spiegherebbe la costruzione delle piramidi intorno all’Etna e l’altare con il sedile biposto. Altri le attribuiscono ai Shekelesh. Originali della Sicilia sud orientale, questo popolo era esperto in navigazione e molti reperti ritrovati, come le anfore, sono stati rinvenuti identici in Israele. Grazie alla loro maestria nella navigazione, hanno raggiunto Tenerife e l’isola di Mauritius, costruendo delle piramidi identiche a quelle presenti in Sicilia.

THOR EYERDAHL

Etnologo e navigatore norvegese (Larvik 1914 – Colla Micheri, Savona, 2002) noto soprattutto per aver dimostrato la possibilità di collegamenti tra alcune antiche popolazioni. 

L’impresa più famosa alla quale ha legato il suo nome è stata, nel 1947, la traversata del Pacifico, 6.800 chilometri in 101 giorni, con la zattera Kon-Tiki che consentì a Heyerdahl di dimostrare il suo assunto teorico secondo il quale popolazioni sud-americane sarebbero giunte in alcune isole polinesiane, colonizzandole, prima dell’arrivo di navigatori dall’Asia sudorientale. Quella del Kon-Tiki, sicuramente la più esaltante, non fu comunque l’unica impresa di Heyerdahl che, a bordo del ‘Ra primo‘ e del ‘Ra secondo‘, tentò di dimostrare l’azzardata e controversa teoria secondo la quale gli antichi egizi sarebbero stati in grado di raggiungere l’America, con almeno duemila anni di anticipo su Cristoforo Colombo.

A bordo del ‘Ra secondo’, una imbarcazione costruita con fusti di papiro, l’esploratore norvegese riuscì comunque nel 1970 a raggiungere l’isola di Barbados partendo dalle coste marocchine. Irrequieto, sempre alla ricerca di nuove avventure, Heyerdahl è stato quasi sempre controcorrente rispetto alle tradizionali teorie storiche. Si impegnò in una lunga campagna di scavi nell’isola di Pasqua per dimostrare che i ”moais”, le gigantesche teste di pietra, erano state scolpite da popolazioni provenienti dal sud america e non dalla Polinesia, come ritenuto sino ad allora. Ed ha trovato l’unica scultura di sesso femminile dell’isola di Pasqua.

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